Da bancario a consulente: un passaggio (obbligato) per molti… ma non per tutti

L’attuale stato di salute del sistema bancario italiano è noto a tutti: una montagna di NPL (Non performing loans) in via di smaltimento a prezzi stracciati (ma che pian piano sta permettendo una risalita del credito a famiglie ed imprese); banche che vengono vendute ad 1 euro; iniezioni di capitale precauzionale da parte dello Stato in istituti in crisi (che poi ricadranno in qualche modo sui tax payers); forti ristrutturazioni delle strutture distributive a seguito sia di fenomeni di aggregazione, sia del crescente impatto delle nuove tecnologie che rendono obsoleti i tradizionali canali di contatto con la clientela.

Da tutto questo emerge un problema sociale non indifferente, rappresentato dalle migliaia di esuberi che il sistema sta producendo e produrrà negli anni a venire. 3.900 per Intesa dopo l’acquisto delle Venete, 4.000 in MPS, 1.500 in UBI (dopo l’acquisto di 3 delle good banks saltate a fine 2015)… giusto per citare alcuni casi. E qualcuno stima addirittura 30.000 esuberi nel settore entro il 2020.

E’ lecito (e doveroso) interrogarsi allora su quali modalità di gestione poss0no e potranno essere utilizzate per tali esuberi. Stante il fatto che le forme di prepensionamento e/o di incentivo alla fuori uscita previste dalla legge non saranno probabilmente sufficienti a smaltire l’enorme quantità di persone che dovranno lasciare quello che un tempo era “l’agognato posto fisso in banca”, si renderanno necessarie forme di ricollocamento più o meno guidate ed incentivate, ovvero spontanee e a volte persino estemporanee. Tra queste, viene facile pensare alla trasformazione (intra o extra gruppo bancario di origine) di molti dipendenti bancari in consulenti finanziari, fenomeno che già ora sta interessando il settore vista l’alta affluenza di bancari ed ex bancari all’esame per l’iscrizione all’albo.

Ma chi potrà veramente effettuare con successo questo passaggio? E quali problematiche dovrà affrontare?

Facciamo qualche considerazione al riguardo.

  • Per prima cosa, non tutti i bancari in esubero possono ragionevolmente sperare di diventare consulenti finanziari

Chi in filiale ha avuto a che fare direttamente con la clientela (meglio se affluent e private), e vanta un numero di contatti e di masse adeguato, può infatti credere che il passaggio ad una rete di consulenti sia fattibile, sebbene si debba tenere in conto che non tutti i portafogli saranno trasferibili, vuoi per la tipologia di prodotti (spesso blindati) in cui i clienti hanno investito, vuoi per la generalizzata difficoltà a modificare il proprio status quo, cioè a cambiare intermediario. Tra questi soggetti, a secondo della terminologia utilizzata, possono essere annoverati direttori di filiale, gestori di relazione, personal banker, private banker, relationship manager ecc.. ma anche semplici sportellisti e cassieri operanti in realtà di provincia dove è più facile creare relazioni.

Sicuramente più difficile, ma non impossibile, la situazione di coloro che invece si sono sempre occupati del ramo corporate; da un lato, infatti, essi potrebbero mancare di quei rapporti stretti con la clientela tipici dei colleghi che seguono la clientela privata; dall’altro, tuttavia, la conoscenza di imprenditori facoltosi, e l’expertise maturato anche nel contesto della finanza aziendale, potrebbero divenire alla lunga un vantaggio competitivo. Anzi, per questi profili si potrebbe addirittura ipotizzare un futuro da consulenti aziendali dedicati alla gestione dei rapporti impresa-banca; si tratta infatti di una figura di consulente ancora troppo poco sviluppata (e non strutturata) in Italia, e che potrebbe invece favorire la crescita della cultura finanziaria delle PMI e delle imprese artigiane.

Nettamente più critica, infine, la posizione di tutti coloro che hanno svolto nella banca tradizionale mansioni e ruoli di staff, di back office, di middle management ecc… e che non hanno avuto modo di sviluppare nel corso del tempo capacità relazionali con la clientela finale.

  • Vi è poi un problema di competenze e di approccio al lavoro

Così come stabilito dalla MIFID II e dalle Linee Guida dell’ESMA, gli intermediari devono assicurare che le persone fisiche che erogano consulenza ai clienti, o che semplicemente danno informazioni su prodotti e servizi, devono essere dotate di adeguate competenze e conoscenze in materia. Si tratta di un passaggio critico: mentre è lecito affermare che i consulenti finanziari (ovviamente chi più e chi meno) hanno sviluppato nel corso del tempo importanti competenze e conoscenze, anche a seguito di certificazioni ad hoc e di corsi di aggiornamento continui, lo stesso, a nostro avviso, non si può dire (on average) dei dipendenti bancari.

La prima necessità che dovrà affrontare chi vuole passare da bancario a consulente sarà allora quella di formarsi. Al riguardo, ci permettiamo di suggerire a costoro di considerare attentamente, nel momento in cui andranno a decidere la rete presso cui prendere il mandato, l’apporto formativo che tale rete è pronta e capace di dare.

La crescita in termine di conoscenze non è però sufficiente. La vera criticità del passaggio da banchiere a consulente finanziario è rappresentata dal diverso approccio al lavoro. E’ la trasformazione da dipendente ad imprenditore la vera sfida. E qui occorrono attitudini all’organizzazione del lavoro, alla proattività verso la clientela, al marketing e al personal branding, nonché capacità relazionali, consulenziali (ad ampio raggio) e comunicazionali di cui spesso sono carenti gli ex-bancari (e su cui anche i consulenti finanziari più affermati non dovrebbero mai smettere di lavorare). Si tratta, in definitiva, non tanto di cambiare posto di lavoro, ma di cambiare lavoro.

Articolo originale di Fabrizio Crespi pubblicato su conTEmplata.it

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