I recenti dati di Assogestioni testimoniano la fortissima crescita dell’industria del risparmio gestito che vede protagonisti soprattutto i fondi comuni che nel 2013 hanno registrato flussi in entrata pari a 45,9 miliardi.
Il 2013 cancella così i deflussi che hanno caratterizzato gli ultimi due anni (2012 e 2011), chiusi con un saldo negativo di oltre 52,6 miliardi, e si aggiudica la palma di miglior anno del nuovo millennio. Bisogna, infatti, risalire al 1999 per poter registrare un saldo di raccolta netta annuale superiore: +88 miliardi di euro con i soli fondi comuni.
Questa raccolta record e il buon andamento delle performance spinge verso una nuova vetta il patrimonio totale: oggi l’industria gestisce oltre 1.333 miliardi di euro, di cui 733 confluiti in gestioni di portafoglio e 599 in gestioni collettive.
Dietro questo record c’è un unico motivo: la fuga dei risparmiatori dal mercato immobiliare.
E’ importante quindi capire le condizioni del mercato immobiliare e le sue prospettive future per comprendere quanto durerà lo sviluppo del mercato del risparmio gestito e della promozione finanziaria.
Partiamo da un dato che circola da tempo in ambienti bancari e finanziari ma che nessuno ancora osa ripetere a voce alta.
Secondo le più recenti stime della banca centrale, l’ammontare delle sofferenze di banche e società finanziarie rappresenta il 12,3% dei prestiti complessivi alla clientela. Solo qualche anno fa la percentuale di sofferenze a livello di sistema non superava il 2-3%. Gli esperti assicurano che il deterioramento della qualità creditizia registrato in Italia è tra i peggiori su scala europea, se si esclude l’Irlanda.
Tradotto significa che: fino a qualche anno fa 1 su 40 non riusciva a far fronte al mutuo / prestito, oggi invece 1 persona su 8 ha serie difficoltà.
Sulle sofferenze bancarie è oggi concentrata l’attenzione di Banca d’Italia. Il sistema bancario italiano ha infatti in portafoglio 26 miliardi di crediti in sofferenza con sottostanti immobili (i c.d. distressed assets), che costituiscono una zavorra di cui gli istituti di credito vorrebbero liberarsi.
Una cifra enorme che rappresenta soprattutto l’eredità del periodo del boom immobiliare, quando le banche erogavano credito non sulla base di progetti ma in forza di relazioni personali con una generazione di immobiliaristi che poi è finita sulla graticola alle prime avvisaglie della crisi finanziaria mondiale. Poi la congiuntura negativa si è allungata e anche gli operatori sani hanno fatto sempre più fatica a far fronte agli impegni assunti con gli istituti di credito. Risultato: le banche si ritrovano piene di immobili legati a contratti di finanziamento o di leasing insoluti.
Quando ci sono di mezzo gli immobili le cose si complicano perché si pone un problema di adeguarne la valutazione agli attuali prezzi di mercato a fronte, però, di linee di credito corrispondenti che sono stati concesse ai tempi in cui gli stessi immobili valevano di più. Insomma, la domanda è: se i crediti deteriorati legati al settore immobiliare sono pari a 26 miliardi, a quanto ammonta oggi il valore degli asset sottostanti? Il problema sta tutto in questo delta ed è un problema che scotta.
Sulle sofferenze in generale, la banca centrale guidata da Ignazio Visco ha scelto la linea della prudenza. Prima ha bocciato la proposta avanzata da Mediobanca di far confluire tutti i crediti insoluti in una bad bank, che liberasse gli istituti di credito di tutte questi immobili, accollando il costo della necessaria ristrutturazione dei mutui all’Italia o all’Unione Europea. Poi ha impresso un giro di vite sulla politica di contabilizzazione e copertura di questi stessi crediti.
Da novembre 2012 gli ispettori di Via Nazionale hanno setacciato i conti dei primi 25 gruppi bancari italiani con l’obiettivo di verificare la corretta rappresentazione in bilancio proprio delle sofferenze attraverso le opportune svalutazioni.
L’invito ad apportare le svalutazioni in bilancio viene anche dal Fondo monetario internazionale e dagli investitori stranieri per tornare a investire in Italia.
Le banche hanno quindi sempre di più interesse a cedere il maggior numero possibile di questi cespiti allo scopo di alleggerire l’ammontare dei crediti incagliati. Ma proprio su questo punto la banca centrale guidata da Ignazio Visco starebbe opponendo una certa resistenza per il timore che vengano messe in atto operazioni di cosmesi dei bilanci.
Oggi lo stock di bad loans ovvero di crediti in sofferenza è tale da creare una grave distorsione del mercato immobiliare. Il punto è che non si possono mettere in circolazione in maniera massiccia asset rilevati con un forte sconto dalle banche, perché questo rischia di far crollare i prezzi degli immobili realizzati in questi anni da operatori seri mettendo in crisi i loro cantieri (finanziati dalle stesse banche).
Non si possono poi apportare i crediti deteriorati delle banche direttamente in un fondo immobiliare. Il timore è che i fondi che nasceranno con in portafoglio gli immobili sottostanti i crediti scaduti diventeranno concorrenti sleali dei fondi che hanno costruito i loro patrimoni a prezzi di mercato (gestiti dalle stesse banche).
Spinte dalla Banca d’Italia gli istituti di credito hanno intrapreso la strada dei rate off e dai bilanci 2012 si vede il risultato anche di importanti svalutazioni dei cespiti nel tentativo di adeguarne il valore agli attuali livelli di mercato.
Le banche comunque di svendere gli immobili che oggi si ritrovano in portafoglio per aver concesso credito facile in passato, non vogliono proprio sentir parlare, anche se ci sono pressioni affinchè mettano sul mercato gli asset a prezzi di liquidazione.
Va inoltre considerato che questo enorme patrimonio immobiliare inutilizzato in mano alle banche non produce reddito e rappresenta un costo annuo rilevante. Molto spesso lo sgombero di tali immobili da utilizzatori morosi, ha favorito fenomeni di abbandono (o di occupazioni abusive) e di vero e proprio saccheggio (asportazione di rame dagli impianti elettrici, di componentistica, di interi impianti di refrigerazione), con conseguente perdita di valore.
Nell’ambito residenziale, poi ci si trova in presenza di una moltitudine di immobili di scarsa qualità, in posizioni senza particolare appeal, il cui valore attualizzato è fortemente da riperimetrare. Anche nel caso di nuove costruzioni, l’evidenza si compone di opere che probabilmente non vedranno la fine lavori a breve e comunque non allineate agli standard energetici e tecnologici accettabili nell’attuale mercato.
Cosa faranno le banche per liberarsi dei distressed assets dei non performing loans? ovvero come si libereranno degli immobili coi mutui in sofferenza, dato che il tandem pignoramento più asta si è rivelato poco conveniente e in certi casi fallimentare?
Gli ottimisti vedono due soluzioni, in parte già in corso di tentativo: la creazione di divisioni real estate bancarie ossia mega agenzie immobiliari per smaltire gli immobili in portafoglio, e la cessione delle stesse a fondi immobiliari che fanno repricing e alla fine vendono al dettaglio pure loro. Nel frattempo le banche finanzieranno sempre meno i costruttori e sempre di più i privati per riuscire a smaltire questo invenduto.
I pessimisti vedono una situazione che si protrae ancora a lungo con vendita di portafogli di crediti in sofferenza a soggetti terzi, come la recente svendita del portafoglio di Unicredit al fondo Cerberus.
La strada segnata è comunque un repricing dei valori immobiliari.
Ultimo nodo del mercato immobiliare è la legge della domanda e dell’offerta nel settore immobiliare. C’è chi ritiene la domanda in calo per ragioni demografiche e per le separazioni in casa che sempre più spesso sostituiscono per ragioni di convenienza economica le separazioni vere. C’è invece chi stima la domanda potenziale intorno alle 800 mila famiglie, che però riusciranno a comprare casa solo nella metà dei casi. In altri termini la domanda è sostenuta ma al 50 per cento è velleitaria. Le cause? Credit crunch, lentezza nel repricing da parte dei proprietari, difficoltà della permuta (dato che l’ 82% delle famiglie sono già proprietarie di casa e vendono il tetto vecchio per comprare il tetto nuovo). Non a caso si stanno facendo strada fenomeni fino a qualche anno fa poco diffusi come il subaffitto delle stanze, l’affitto a riscatto o la vendita della nuda proprietà.
Alla fine tutti convengono che il plafonamento dei valori non si risolverà nel 2014, e due affermazioni trovano tutti concordi:
La prima, lapalissiana: se non riparte l’economia l’immobiliare non riparte.
La seconda, scultorea: la tua casa poteva valere 100 quando l’acquirente poteva fare un mutuo di 80; ora la tua casa vale quello che ti offrono, non quello che chiedi.
Dai prezzi in tensione del mercato immobiliare e dalla soluzione di questi nodi al momento inestricabili dipenderanno i prossimi sviluppi del mercato del risparmio gestito.
Fonti dell’articolo:
Il Ghirlandaio – Magazine di Real Estate, Arte e Architettura